L’esigenza della conservazione negli Studi Legali

news_image_317 Marzo 2016

 

  1. L’incremento dell’attività digitale dell’Avvocato

Dal 2014, gli Avvocati si sono trovati catapultati in maniera immersiva nel mondo dell’informatica, in seguito all’entrata in vigore del Processo Civile Telematico, divenuto obbligatorio.

Tale progetto è stato strutturato dal Ministero della Giustizia in modo piuttosto articolato, ricorrendo a strumenti e nozioni tecniche che sfuggivano alle cognizioni della maggior parte dei Legali.

Abituati di norma all’utilizzo del solo computer, si sono dovuti confrontare con nuovi concetti, quali firma digitale, posta elettronica certificata, formati di file, fatture elettroniche: sia apprendendone gli aspetti tecnici, sia approfondendo la normativa pertinente.

Dopo circa due anni di vigenza del Processo Civile Telematico e con l’approssimarsi di quello Amministrativo, Contabile e Tributario, può dirsi che si è diffusa una conoscenza almeno basilare delle competenze informatiche necessarie.

Tuttavia, ciò ha comportato anche la trasformazione dell’assetto documentale di uno Studio Legale, posto che l’Avvocato è aduso all’archiviazione e conservazione cartacea dei propri fascicoli e documenti. Invece, la mole di documentazione digitale o digitalizzata afferente gli affari legali è esponenzialmente aumentata, implicando un diverso trattamento da riservare ad essa, sia in tema di trattamento dei dati personali, sia in tema di conservazione.

Infatti, la conservazione digitale è fortemente differente rispetto alla tradizionale conservazione analogica, per la quale era sufficiente un archivio cartaceo e un mimino di criterio archivistico-organizzativo. Tipicamente, fascicoli e documenti vengono conservati dall’Avvocato in faldoni e portadocumenti cartacei; cosa non più possibile per i documenti informatici.

  1. Perché conservare il digitale in maniera appropriata

Solo recentemente, nell’attività convegnistica e di formazione, sta emergendo qualche accenno e invito rivolto agli Avvocati ad occuparsi del tema della conservazione.

Ciò che qui interessa è far comprendere l’importanza e i motivi per cui sia necessario conservare in modalità informatica gli atti digitali, al di là degli obblighi di legge specifici, si pensi a quelli che impongono la conservazione dei documenti informatici fiscali. I motivi sono squisitamente tecnico-giuridici.

Le Regole Tecniche del Processo Telematico prevedono la sottoscrizione dei documenti informatici contenenti gli atti processuali con firma digitale e a questo si sono ormai abituati gli Avvocati, usandola anche al di fuori del processo. Ad esempio, per effettuare le notifiche via PEC ovvero per sigillare contratti o altri documenti.

Normativamente, la fattispecie è regolata dall’articolo 21 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), ove si legge che “Il documento informatico sottoscritto con firma […] digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 20, comma 3, che garantiscano l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento, ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile”, ossia l’efficacia della scrittura privata.

Ad onta del nome, la firma digitale non è una sottoscrizione propriamente intesa, bensì un metodo di imputazione giuridica di effetti all’oggetto digitale cui è apposta, onde conferirne la paternità all’autore, nonché integrità ed immodificabilità. Il meccanismo su cui si fonda, la coppia di chiavi crittografiche asimmetriche, implica un limite temporale di sicurezza, oltre il quale si ritiene possibile per un calcolatore risalire ai dati di cifratura: motivo per cui il certificato di firma digitale scade ogni tre o cinque anni, a seconda del certificatore accreditato.

La circostanza appena illustrata ha importanti conseguenze.

L’esigenza di garantire tale sicurezza è alla base della previsione di cui all’articolo 62 del D.P.C.M. 22.02.2013, recante le “Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme elettroniche avanzate, qualificate e digitali”.

Quest’ultimo dispone che “Le firme elettroniche qualificate e digitali, ancorché sia scaduto, revocato o sospeso il relativo certificato qualificato del sottoscrittore, sono valide se alle stesse è associabile un riferimento temporale opponibile ai terzi che collochi la generazione di dette firme rispettivamente in un momento precedente alla scadenza, revoca o sospensione del suddetto certificato”. La naturale conseguenza della predetta disposizione è che l’assenza di un riferimento temporale opponibile a terzi non consente di mantenere la validità della firma digitale apposta ad un documento informatico e, per derivazione, l’attitudine dello stesso ad avere il valore conferitogli dall’articolo 21 del CAD.

A tal riguardo, si specifica che il processo di conservazione permette, ad esempio, di associare una validazione temporale tramite una marca temporale all’impronta del documento informatico firmato digitalmente, estendendone la sua validità nel tempo.

A ciò si aggiunga che l’articolo 3 del D.P.C.M. 13.11.2014, recante le “Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni”, dispone che uno dei metodi per assicurare l’integrità e l’immodificabilità di un documento informatico formato mediante mezzi di videoscrittura è proprio l’apposizione della firma digitale. Nel momento in cui questa scade e non è più considerata valida, viene meno anche tale funzione.

Funzione che è, invece, svolta efficacemente da un sistema di conservazione, ai sensi dell’articolo 44 del CAD, nonché ai sensi del predetto articolo 3, comma 4, delle Regole tecniche sul documento informatico.

Addirittura, nel caso del documento informatico formato ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett.b), delle Regole Tecniche sul documento informatico, non è necessaria, ma neanche sufficiente, l’apposizione su di esso della firma digitale posto che, in tal caso, “le caratteristiche di immodificabilità e di integrità sono determinate dall’operazione di memorizzazione in un sistema di gestione informatica dei documenti che garantisca l’inalterabilità del documento o in un sistema di conservazione”(giusta previsione del successivo comma 5).

A prescindere, pertanto, dalla modalità di formazione del documento informatico, esso presenta peculiarità tali da giustificare l’esistenza di precisi metodi gestionali, archivistici e conservativi: attesa la fluidità del dato digitale, essi consentono di perseguire gli obiettivi di sicurezza, immodificabilità e adeguato mantenimento a lungo termine del documento medesimo.

  1. Conseguenze e conclusioni

La conseguenza principale della mancata adozione di idonee procedure di conservazione è rappresentata dalla perdita di valore giuridico inopponibile ed incontrovertibile dei documenti informatici.

Va sottolineato che il versamento degli atti processuali nel fascicolo informatico non mette al riparo l’Avvocato telematico, posto che il Ministero della Giustizia, per quanto è dato sapere, non garantisce l’adozione di un sistema di conservazione a norma di legge (o almeno non ancora).

Tuttavia, è ancora maggiore il pericolo nell’ambito di attività extraprocessuali, laddove si ricorra allo strumento digitale. Si pensi alla mancata conservazione di una diffida ad adempiere inviata tramite PEC, che abbia interrotto un termine decadenziale o prescrizionale: ove non conservata adeguatamente, verrebbe meno l’effetto interruttivo. È, altresì, agevole intuire l’enormità del rischio, facendo l’esempio della richiesta di risarcimento del danno in materia di RCA, da presentarsi all’Assicurazione in termini di decadenza (sessanta giorni di norma) o di prescrizione (due anni) molto stretti.

Altro aspetto interessante da evidenziare è quello relativo ai messaggi PEC, molti non riflettono sul fatto che la traccia informatica della trasmissione via PEC deve essere per legge mantenuta dai Gestori PEC per 30 mesi, quindi oltre tale periodo se il mittente o il ricevente dovessero smarrire messaggi e/o ricevute potrebbero perdere prove fondamentali sulla trasmissione ed il suo contenuto, a meno che abbiano attivato un servizio di conservazione che prevede di conservare secondo le regole tecniche in materia di sistema di conservazione la “Ricevuta completa” nel formato .eml (conforme alla RFC 2822) e contenente il messaggio PEC del mittente e gli eventuali allegati.

In conclusione, l’esigenza della conservazione digitale è un tema che deve interessare sempre di più e rapidamente gli Studi Legali, atteso che, peraltro, consentirebbe di risolvere diversi problemi gestionali. Si pensi all’obbligo di back up e disaster recovery posto dal Codice Privacy: ricorrendo ad un sistema di conservazione, si otterrebbe il duplice beneficio di (i) adempiere all’obbligo di legge di conservazione dei documenti informatici, (ii) avere una cassaforte legale dei propri documenti informatici, utile oltre che per le finalità di consultazione ed esibizione anche per l’eventuale ripristino in caso di disastro.

Avv. Francesco Minazzi – Studio Legale Minazzi  www.francescominazzi.net
Cultore di Informatica Giuridica c/o Università di Teramo
Master in Informatica Giuridica c/o Università di Bologna

[Contributor DocPaperless]

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